lunedì 27 luglio 2009

Le Troiane di Euripide al Teatro romano di Gubbio

Si parte con Euripide. Saranno le sue Troiane, martedì, a inaugurare la stagione 2009 dell'anfiteatro romano di Gubbio. Una versione in qualche modo debitrice della riduzione di Jean-Paul Sartre. Regia di Federico Magnano San Lio, sul palco la passionale e appassionata Ivana Monti. A cui lo spettacolo è entrato nelle carni, in profondità. C'entra il dramma della guerra, certo, ma c'è dell'altro. C'entra il racconto di due civiltà che si scontrano, c'entrano i pianti prosciugati delle donne. C'entra pure il terremoto, quello dell'Aquila. Ma andiamo con ordine. Ivana Monti innanzitutto prova a spiegarci cos'hanno di diverso, queste Troiane, rispetto all'Euripide che siamo abituati a conoscere.
"Senz'altro la brevità. In quest'adattamento è scelta la summa della tragedia, la crisi di ognuna delle troiane. C'è Ecuba, e Cassandra, e poi Andromaca, Elena. C'è il messaggero iniziale che diventa Menelao. In un'ora si dicono le cose fondamentali."
E poi?
"Poi è ancora più pronunciato un messaggio molto importante: la guerra non è lontana, ma ci appartiene.
E ci appartiene in modo sorprendente. Si pensi alle parole di Andromaca quando si scaglia contro i greci venuti a distruggere Troia: "
Voi europei disprezzate l'Oriente e l'Africa, ci chiamate barbari, ma quando la cupidigia e la vanagloria vi portano qui, saccheggiate, torturate e massacrate.
Chi sono allora i barbari?
". Ecco, è incredibile quanto l'idea di uno scontro continuo tra Occidente e Oriente sia antica. Ma da un po' questo spettacolo, per me, ha assunto uno spessore ancora diverso."
Vale a dire?
"È successo un mese dopo il terremoto in Abruzzo. Ascoltavo le parole della presidente della Provincia dell'Aquila (Stefania Pezzopane, ndr), e sono rimasta sconvolta.
A un certo punto ha detto esattamente quel che dice Ecuba all'inizio delle Troiane: "Noi non abbiamo più lacrime".
E lo diceva con voce rotta, ma andava avanti. Allora io ho capito, io mi sono detta che era così che dovevo dire quella frase. E poi c'era la responsabilità. Quella su cui invocava di indagare la presidente, come quella che sente Ecuba. Che da regina è responsabile quanto e più degli altri troiani, perché di fronte all'ignoto del Cavallo non ha saputo scegliere al meglio, e lei stessa ha tirato dentro le mura quella che sarebbe stata la fonte della devastazione della sua città."

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