Oggi Raiz, transfuga senza rancore, conta già i suoi, di album. Sono due: "Wop" (uno dei nomignoli con cui venivano designati gli immigrati italiani negli States) del 2004 e "Uno" del 2007. Dai tempi in cui Napoli faceva da sponda italiana alla Bristol capitale mondiale del trip-hop molte cose sono cambiate.
Specie per lui, Raiz, al secolo Gennaro Della Volpe, sguardo da duro e muscoli da marinaio al servizio di una voce poderosa, che ogni tanto continua a far gola anche agli amici Massive Attack, che di quella scena bristoliana di cui sopra erano e restano uno dei principali fari.
Il duetto al Neapolis Rock Festival, con alle spalle gli stessi Almamegretta, è roba dell'altroieri.
Ora, però, c'è dell'altro. È da sempre devoto alla contaminazione, Raiz. Non solo tra linguaggi musicali diversi, ma anche tra differenti canoni espressivi.
Stasera, al "Life in Gubbio", non canterà. L'artista napoletano chiuderà la serata al chiostro maggiore della chiesa di San Francesco (prima di lui i concerti di Pacifico e Niccolò Agliardi e le letture della poetessa brasiliana Marcia Theophilo) con un reading.
"Niente di troppo lontano dalla musica. Come la musica, anzi, leggere dei monologhi non è un fine ma un mezzo per dire delle cose, un'espressione di condivisione, compassione, solidarietà".
Di che si tratterà?
"Sono due testi ispirati a delle opere di Pierpaolo Pasolini ed Elie Wiesel. Il tema di fondo è impegnativo, e per certi versi sconfinato: qual è il senso dell'esistenza? Ecco, partendo da Pasolini e dai suoi scritti sulla cultura popolare italiana del Dopoguerra, quella precedente alla massificazione, arriverò a raccontare di mia nonna, che non sapeva parlare italiano ma a modo suo era una donna estremamente colta, custode di molti saperi. Oggi chi nasce dove è nata mia nonna è abbandonato a se stesso, si nutre di sms e cibi precotti, di nulla".
E Wiesel?
"Wiesel è un grandissimo intellettuale ebreo che coi suoi studi sulla Bibbia e sul Talmud mi ha dato lo spunto per portare avanti una riflessione sull'ecologia e sullo stato delle cose nel mondo".
Non siamo messi benissimo.
"No. Il problema è che si tende ad annichilire le diverse culture, ad appiattirle tutte su una stessa unica posizione. Invece le culture devono incontrarsi, mantenere le proprie particolarità senza stemperarsi".
Ha intenzione di indagare nuovi luoghi o sei concentrato ancora sul tuo lavoro di ricerca sul Mediterraneo?
"Voglio diventare un cantante mediterraneo in tutto e per tutto. D'altronde questo mare è la culla della civiltà. Nel prossimo disco canterò in diverse lingue, e cercherò di applicare il metodo dei cantanti neo-melodici napoletani (ride, ndr). Lasciamo da parte la sostanza, è il loro approccio che mi piace: prendono canzoni popolari e ci mettono dentro nuovi ritmi, nuovi linguaggi. In questo senso li trovo molto interessanti. Tornando al nocciolo della questione, se si pacifica il Mediterraneo ne trarranno giovamento gli equilibri geopolitici a livello mondiale. Nel momento in cui in Medioriente la smettano di scambiarsi piombo e comincino a lavorare all'integrazione vedrai che Ahmadinejad la pianterà di dire idiozie e gli Stati Uniti non avranno più la scusa di dover esportare la democrazia".
Mica facile.
"Lo so. Magari sono un sognatore. Ma, come diceva John Lennon, non sono il solo"
Giovanni Dozzini dal Corriere dell'Umbria
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